Tipologia: sito archeologico
Sito visitabile: esternamente poichè di proprietà privata.
Indirizzo: terzo chilometro della strada provinciale 35/D che collega Palombara alla via Salaria (Località Grotta Marozza)
Note: al momento i resti del castello si possono osservare da lontano, poiché non sono stati messi in sicurezza, risultando quindi pericolosi per i viandanti.
Geolocalizzazione: 42° 3' 58.43'' N, 12° 39' 11.86'' E
Grotta Marozza è una località della campagna della provincia di Roma, in cui si evidenziano ancora resti di un antico insediamento feudale abbandonato verso la fine del XIV secolo, anche se vi si ritrovano tracce della presenza umana fin dall’epoca pre-romana.
Il sito comprende anche cisterne e condutture sotterranee di età romana, relative alle aquae Labanae (antiche sorgenti termali con acqua sulfurea).
Poco prima del suo declino, tale feudo contava circa 400 abitanti ed ospitava una parrocchia con due chiese e due sacerdoti. Delle poche testimonianze di origine feudale rimaste, si evidenzia il rudere di un castello in pietra, costruito su una collina che dominava l’antica Via Nomentana, una posizione strategica per i commerci ed il controllo del territorio.
Da secoli tali rovine vengono definite “Il castellaccio”, per l’immagine abbandonata e desolata che ne emerge.
L’antico rudere posto in posizione sopraelevata, è ciò che rimane dell’incastellamento (cinta muraria e torre) di un piccolo borgo, iniziato già nel X secolo e fortificato nel XIII secolo ad opera della famiglia romana dei Capocchi.
Il rudere può essere visitato dopo una breve e semplice ascesa alla collinetta su cui è posto, al lato della Via.
Bisogna porre attenzione però nell’esplorazione dato che è pericolante. Intorno si possono cogliere vedute su Palombara Sabina con il Monte Gennaro alle spalle, sulla Macchia di Gattaceca e sull’abitato di Sant’Angelo Romano.
Poco più a Nord si dirama verso Ovest una sterrata che conduce alla riserva della Macchia Del Barco, antica area di frontiera tra Latini, Sabini e Capenati.
Testo: Nadia Coccia e Raffaello Conti
Foto: Raffaello Conti