Tipologia: sito naturalistico
Tel: 0687121687 (guardiaparco) 
Sito web: Ente Roma Natura
Note: parte del cammino attraversa aree private. E’ opportuno il passaggio nel massimo rispetto delle cose e della natura della Riserva. 
Geolocalizzazione: 42° 1' 18.10'' N, 12° 35' 44.13'' E

Venendo da Monterotondo e percorrendo via di Valle Ricca dopo una lunga salita, si giunge all’interno della Riserva Naturale della Marcigliana, dove si apre uno straordinario paesaggio sulla campagna Romana, che si affaccia su tutta la metropoli, da cui è possibile vedere la cupola della Basilica di San Pietro.
Questa è la visione che compare al pellegrino/viandante.
La Riserva Naturale della Marcigliana, con i suoi 4.696 ettari, rappresenta poco meno della metà dell’intera superficie del Municipio III Roma Montesacro, sita tra i comuni di Roma, Fonte Nuova, Mentana e Monterotondo.
Una porzione di Agro Romano di inestimabile valore (legiferata riserva naturale con L.R. n.29/97) che racchiude in se realtà naturalistiche, storiche, socioculturali e produttive di notevole rilevanza.

Ubicazione e perimetro

La riserva si estende su un gruppo d’alture subito ad est dell’ampia pianura alluvionale del Tevere. L’area è delimitata ad ovest dall’autostrada Roma-Firenze e dalla via Salaria, a nord dai confini comunali di Monterotondo, Fonte Nuova e Guidonia, ad est dalla via Nomentana e a sud dal Grande Raccordo Anulare. Geomorfologia Il comprensorio interessato dalle grandi tenute della Marcigliana e di Tor San Giovanni è caratterizzato dalla piana del Tevere e dai rilievi collinari ad est di questa.
La pianura del Tevere è di formazione alluvionale continentale, con depositi palustri e lacustri di sabbie, argille e ghiaie. 
È quasi totalmente sfruttata ad uso agricolo. Il vero cuore del parco, però, è la zona collinare delimitata ad ovest dalla piana, a sud dal Fosso della Bufalotta e a nord dal Rio del Casale, che segna anche il limite del Comune di Roma.
Queste colline, per lo più basse ed arrotondate, hanno sul fronte del Tevere frange assai frastagliate e ripide, anche se raramente presentano pareti a picco sulla pianura.
In quest’area sono presenti affioramenti di rocce vulcaniche d’origine piroclastica, dovute all’attività del Vulcano Sabatino, e che costituiscono l’elemento litologico predominante dell’intera area.
Il parco della Marcigliana costituisce il tipico esempio del paesaggio noto come Campagna Romana, caratterizzato da pascoli, macchie, ripiani tufacei con le caratteristiche profonde incisioni costituite da ripide pendici che delimitano stretti e pianeggianti fondovalle, e dolci valli percorse da ruscelli, alla cui testata è facile trovare salti d’acqua e piccole cascatelle, e da numerosi fossi, tutti ricchi d’acqua, anche detti “forre”.
Questa realtà paesaggistica, grazie anche al buono stato di conservazione ambientale, racchiude in sé tutti gli elementi da sempre tipici dei territori attorno a Roma, e che hanno incantato, nel corso dei secoli, qualunque artista o semplice viaggiatore li attraversasse.
L’uomo che li ha abitati ha utilizzato a pascolo e coltivazione le dolci fertili colline tufacee, trascurando, invece, le zone di forra ed i versanti più ripidi ed inaccessibili, che hanno così mantenuto l’originaria vegetazione forestale.

Flora

Le basse colline arrotondate sono ancora coltivate a seminativo estensivo o destinate a pascolo, mentre le valli sono ricoperte da vegetazione a macchia, costituita prevalentemente da querceto misto laziale con presenza di roverella e cerro nelle zone più alte ed assolate, e di farnia e farnetto nelle parti più umide e fresche.
L’elemento arboreo più importante dell’area è sicuramente il Cerro (Quercus cerris).
I suoi estesi “boschetti” occupano alcune vallette e i loro versanti meno acclivi, dando origine a formazioni arboree che evidenziano un certo grado di maturità ecologica.
Il tipico ambiente di “forra” del Fosso Formicola offre alcuni tra gli scorci più suggestivi dell’intera area: la presenza di un salto d’acqua di circa 8 metri e la fitta vegetazione chiusa a Nocciolo (Corylus avellana), Sambuco (Sambucus nigra) e Fico (Ficus carica), che segue fedelmente il corso del torrente, ne fanno uno dei siti con maggior valore naturalistico.
Laddove, invece, i torrenti non occupano profonde incisioni, ma scorrono lungo vallette più o meno ampie e dai dolci pendii, s’instaura una vegetazione dominata dal Salice bianco (Salix alba), tipico albero delle pianure alluvionali e dei suoli poco drenati
Sugli orli delle forre, dove in pratica le ripide pareti sub-verticali di queste si raccordano alle pianure ondulate sovrastanti, si ha la presenza del Leccio (Quercus ilex), che trova la sua nicchia più favorevole proprio dove, per la forte acclività del suolo, l’acqua non può raccogliersi e infiltrarsi, e dove esso può quindi affondare le sue radici in un ambiente relativamente asciutto.
Tipici dell’area sono anche piccole macchie ad Olmo campestre (Ulmus minor), che spesso si rinviene anche isolato nei pascoli.
Esso è un albero molto importante per la dinamica evolutiva dello stesso bosco a Cerro, formando la vegetazione cosiddetta di “mantello”, una sorta di cerniera con il prato, necessaria all’espansione e ricolonizzazione del bosco.
Di questa “cerniera” fanno parte anche alcune specie arbustive quali il Biancospino, il Rovo, il Prugnolo, il Berretto del Prete e la Rosa selvatica comune, che si consociano a formare una vegetazione molto densa, che arriva ad un’altezza di 2 metri, ma che viene spesso distrutta dagli agricoltori che operano nella zona, in quanto è così intricata e inattraversabile da rendere improduttiva l’area, nonostante la sua importanza per la vita del bosco.
L’ambiente di prato è certamente il più diversificato e ricco di specie, assumendo aspetti assai differenti al variare delle condizioni ecologiche.
L’aspetto momentaneo che ogni appezzamento assume è direttamente dipendente dalla pratica colturale della “rotazione”: si alternano così luminose fioriture a Scarlina, Veccie, Trifogli, Crisantemi ed Orchidee ad aspetti più tipicamente a prateria, dominati da numerose specie di Graminaceae, tra le quali il Falso grano e l’Orzo bulboso, e Leguminosae.
Le famiglie meglio rappresentate sono le Compositae (Margherite, Cardi, Fiordalisi, ecc.). 
Tra le presenze floristiche rilevate nella zona sono inoltre degne di nota l’Agrifoglio, il Pungitopo, la Malva selvatica ed il bellissimo Giaggiolo acquatico, appartenente alle Iridacee, i cui fiori danno, in primavera, la caratteristica colorazione gialla alle aree umide della Riserva.

Fauna

Prima della costituzione della riserva, la fauna era costantemente minacciata dal processo d’urbanizzazione e dall’attività venatoria. 
Rilevanti e d’estremo interesse sono ora, invece, le presenze di mammiferi quali, la Volpe, la Faina, la Donnola, il Tasso, l’Istrice e, soprattutto, la Lepre italica, specie autoctona della Campagna Romana. Alcune di queste specie, come l’Istrice ed il Tasso, trovano nelle zone medio umide costituite da cespuglieti e ambienti di forra, all’interno delle macchie arbustive, il luogo ideale di sviluppo e di riparo, grazie alla costante attività vegetazionale e alla difficoltà di ispezione da parte dell’uomo. 
Nelle zone più umide si possono osservare le Raganelle, il Rospo comune, il Rospo smeraldino, la Rana greca e la rara Salamandrina terdigitata.
Tra l’avifauna rapace sono degni di nota il Nibbio bruno, lo Sparviero, il Barbagianni, la Civetta, il Gufo comune e l’Allocco.
Tra l’ittiofauna vi sono lo Spinarello e il Granchio d’acqua dolce, notoriamente indicatore di buona qualità delle acque.

Infine, tra i rettili vi sono il Biacco, il Saettone, l’Orbettino, la Luscengola, la Vipera comune e una discreta varietà di sauri tra cui il Ramarro.

Fonte web: www.romamontesacro.it 
Testo: Associazione culturale ambientalista “Organizzazione Alfa”
Foto: Associazione culturale ambientalista “Organizzazione Alfa” e Massimo Cardin

 

Tipologia: sito naturalistico 
Sito Visitabile:esternamente
Indirizzo: sulla strada del Cammino verso la Via Vecchia Nomentana che porta a Monterotondo 
Geolocalizzazione: 42° 7' 16.50'' N, 12° 42' 15.82'' E

Le Acquae Labanae di Montelibretti vengono ricordate da Strabone nel Geographika’ (5,3,11 =C238). 
Dell’epoca romana restano solo alcune cavità sotterranee, probabilmente cisterne, di difficile lettura. 
Ad alcune centinaia di metri a Sud Est del Castello di Grotta Marozza si trovava una grande sorgente termale rinomata in età antica col nome di Aquae Labanae ed oggi nota come Acqua Solfa, divenuta dall’agosto 2022, grazie ad un’importante intervento di rigenerazione, un’Oasi Sulfurea dedicata in memoria di Simone Agostini, un giovane scout di Montelibretti che animava il suo impegno in quell'area.
La sorgente alimentava delle terme in epoca romana abbastanza famose per le virtù curative dell’acqua solfurea che vi sgorgava da essere citate anche da Strabone appunto, circostanza che rende improbabile che al tempo consistessero solo in una vasca naturale circondata dai campi.
Poiché anche i manufatti di epoca romana sono essi stessi adiacenti ad una sorgente termale minore, è possibile che il complesso costituisse all’origine una qualche pertinenza delle terme oppure una fattoria edificata per sorvegliarle e coltivarne i dintorni.
In ogni caso, le dimensioni a tratti imponenti delle cisterne che si sono conservate lasciano pensare ad un insediamento di dimensioni significative del quale purtroppo resta assai poco di visibile, forse una villa di qualche dignitario dell’impero.

Testo: Daniela Imperi
Foto: Raffaello Conti e Associazione culturale ambientalista “Organizzazione Alfa”

 

Tipologia: sito religioso 
Sito Visitabile:internamente
Indirizzo: Piazza Chiesa Nuova, 00010 Montelibretti (RM) 
Orario: dal lunedì al venerdì 17:00-18:00/sabato ore 17:00- 18:00 domenica 9:00-12:00/17:00-18:00 
Tel: 0774678070-608019 
Geolocalizzazione: 42° 8' 3.07'' N, 12° 44' 29.76'' E

La prima cappella dedicata alla Madonna del Carmine, risale intorno alla seconda metà del 1700; l’aumentare della popolazione richiese un ampliamento della stessa per poter soddisfare al meglio le esigenze religiose di allora, e solo (documentazione certa) il 14 Novembre 1914 si rese indipendente dalla chiesa del Castello(San Nicola di Bari). 
Oggi ha perso, al suo interno, tutte le linee originali, perché è stato rifatto il pavimento, sono stati rimossi i 6 altari laterali, sostituito l’altare maggiore ed il tabernacolo, demolite le massicce colonne (provenienti dalla Basilica di Sant’Antimo in località Montemaggiore) e le volte con la risultante di una maggiore e necessaria funzionalità, ma con la perdita di un po’ di armonia.

Testo: Daniela Imperi
Foto: Associazione culturale ambientalista “Organizzazione Alfa”

 

Tipologia: sito religioso 
Sito Visitabile: internamente 
Indirizzo
Via della Chiesa n.4, 00010 Montelibretti (RM) 
Orario
lun-ven 15:30-17:00; sab. 17:30-19:00; domenica 9:30-11:30/ 17:30-19:00 
Per info
tel.0774678070-608019 
Geolocalizzazione
42°08'33.5"N 12°44'03.9"E

Costruita nel 1535 dalla famiglia Orsini (ramo di Gravina di Puglia e per questo il Culto di San Nicola, festa patronale 9 maggio per la ricorrenza della traslazione delle spoglie del santo a Bari dall’Oriente nel 1087) e distrutta dal terremoto del 1773 e poi ricostruita. 
All’interno della Chiesa vengono accuratamente conservati quattro dipinti, tre seicenteschi: la Madonna con Bambino nel primo caso, ed i Santi Domenico e Caterina, attribuiti alla scuola dei fratelli Carracci, il terzo, San Pietro e San Paolo, attribuito invece forse al pittore sabino Vincenzo Manenti.
Il quarto, posto sull’altare, L’Annunciazione con Dio Padre e Angeli, è datato dalla Soprintendenza dell’Etruria Meridionale che ne ha effettuato il restauro nel 2007 ad opera di Rossella Vodret e Francesco Petrucci intorno al 1590 ed è attribuito alla scuola dell’artista Scipione Pulzone detto Gaetano molto attivo nella Roma della fine del cinquecento tra le famiglie nobili tra cui gli Orsini (suoi i ritratti per la famiglia nei palazzi romani nei pressi di Campo de’ Fiori e Monte Giordano).
E’ un pittore molto studiato da Federico Zeri il grande critico d’arte che colloca la sua opera tra la controriforma in cui si affermano opere religiose di restaurazione dei dogmi della chiesa cattolica dopo la riforma protestante e i primi momenti del barocco(corrente artistica seicentesca)in cui le stesse opere artistiche presentate in forme grandiose e monumentali di tradizione classica devono suscitare forti sentimenti religiosi e stupire. 
Al contempo però esse sono caratterizzate dalla presenza di contrasti luce e ombra e dalla luminosità dei colori: la luce soprattutto che sembra irrompere nelle opere d’arte (come in questa pala altare) e come sarà più evidente nei quadri del Caravaggio che fu anche allievo di questo artista). 
Sulla parte destra del quadro è visibile l’immagine della piazza e di alcune abitazioni del paese. Inoltre si segnala la statua di sant’Emidio, patrono dei terremoti e di Ascoli Piceno dove fu martirizzato, fatta costruire per ringraziamento dagli abitanti del paese dopo il terremoto del 1915.

Testo: Daniela Imperi
Foto: Raffaello Conti, Pasquale Colabuono (CAI Monterotondo) e Associazione culturale ambientalista “Organizzazione Alfa”